L'associazione alla Giovane Montagna comportava l'adesione ad un programma non solo di ascensioni o escursioni, ma anche di approccio culturale agli aspetti ed ai problemi della montagna. In questo quadro erano state avviate iniziative artistiche quali la pubblicazione di articoli sulla pittura di Giovanni Segantini e, nel 1925, sui "pittori di neve" Cesare Maggi, Felice Vellan, Giuseppe Bozzalla, Giulio Boetto ed ancora, nel 1927, l'organizzazione della Mostra d'Arte Alpina. In questo ambiente era normale sviluppare l'interesse per le fotografie e per la pittura di montagna, come accadde nel caso di Alessio Nebbia.
La pittura è stata, per Alessio Nebbia, il raggiungimento di un'aspirazione, quella di trasfigurare la durezza dei paesaggi in immagini diafane e sognate. Il punto di partenza quasi sempre è costituito da una peculiarità del paesaggio: l'alba, il tramonto, "il meriggio", l'autunno, la neve che cade, il controluce, la luce fredda della luna, il cielo a pecorelle, il cielo stellato, ecc... L'ispirazione sorge da una qualità specifica del paesaggio, come interpretata da un pittore che risulta ovvio chiamare "paesaggista". La pittura di Alessio Nebbia ha subìto nel tempo una forte evoluzione: una rappresentazione fredda e precisa, quasi fotografica, si è trasformata in una sintesi di forme e colori che esprimono la sostanza dell'immagine come da lui interpretata. Nei dipinti un significato particolare assumono le abitazioni, in primo piano o poste in lontananza, isolate o riunite in villaggio, che testimoniano la presenza e la vita umane e attribuiscono dimensionalità al paesaggio, altrimenti indefinibile.
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